Diario Letterario Di Un’italiana in Australia – capitolo 27: la fine degli 88 giorni

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Diario Letterario Di Un’italiana in Australia

Capitolo 27: la fine degli 88 giorni

Oggi sarà un diario diverso dal solito. No, non vi racconterò cosa è successo durante la settimana, ma vi parlerò della tanto agognata fine degli 88 giorni, ovvero un riassunto della mia esperienza nelle farm australiane.

I più affezionati tra voi sapranno che sono in Australia (ma dai, non lo si poteva intuire mai più) e come ogni backpackers che si rispetti ho dovuto affrontare gli agognatissimi 88 days nelle attività rurali australiane per ottenere il rinnovo del visto: tradotto lavorare nelle famosissime farm.

Non vi voglio però nemmeno raccontare i tecnicismi del lavoro in farm, ne tanto meno i dettagli della mia occupazione, che di per sé sarebbero noiosi; qui voglio semplicemente parlarvi della mia esperienza nella più terribile delle farm, la banana farm.

Con una nomea non troppo carina che la precede, infatti la banana farm è la più temibile di tutte, con avvisi e ammonizioni vari da parte di tutte le persone che incontri che ti cercano di convincere in tutti i modi di non avvicinarti nemmeno per sbaglio alle banane.

Ma noi imperterriti come volontà, e portati un po’ dal caso, ci siamo finiti in flagrante nella più temibile farm, lavorandoci addirittura quasi per 5 mesi.

Il lavoro in farm è duro, forse ancora più duro di quel che ti dicono e di quel che uno alla fine si aspetta; è così duro che tante volte vai a letto prima delle otto di sera perché sei troppo stanco; è così duro che la sera ti fanno male tutti i muscoli del corpo, anche quelli che non credevi potessero esistere; è così duro che noi abbiamo messo in stand by la nostra mitica avventura australiana per lavorare e risparmiare per molti mesi, non facendo altro che questo.

Come ogni esperienza forte, però, non c’è da guardare solo al lato negativo; certo, quando si dice hard work lo è per davvero, ma prima della fatica devo confessare che io dopo questa avventura ho imparato tante, molte cose prima della fine degli 88 giorni.

Ho imparato, prima di tutto, a capire (dopo qualche difficoltà iniziale) gli australiani quando parlano, con il loro accento strano e la loro velocità supersonica; abbiamo ancora molto su cui lavorare, ma in questi mesi ho fatto tantissimi progressi.

Ho imparato a lavorare in un ambiente decisamente multiculturale, dove incontri persone letteralmente da tutto il mondo, persino da quel paese che avevi sentito nominare una volta e vai a cercare sul mappamondo perché non sai dove si trova; dove molte volte il tuo vicino, come te, non sta parlando nella sua lingua madre e con il quale comunicare non è sempre facile. Ma ci sono così tanti colori e così tante culture insieme, che alla fine assieme si impara qualcosa di nuovo non facendo troppo caso alle differenze.
Ed incontri persone straordinarie a volte, che probabilmente non rincontrerai mai più in vita tua, ma ti lasciano qualcosa dentro, e difficilementi dimenticherai mai.

Ho imparato la difficoltà di lavorare in un posto in cui non puoi esprimerti nella tua lingua madre, e dove spiegare quello che intendi non è sempre facile, soprattutto quando parli con il tuo capo. E la rabbia di aver fatto una figuraccia oppure di essere fraintesi è tanta; ma dopo un po’ trovi il modo di esprimerti, di farti capire, di farti valere.

Ho imparato a sporcarmi le mani, ma anche le braccia, le gambe, e tutto il resto; prima di ora non avevo mai fatto un lavoro che fosse uno manuale, e devo dire che un po’ me la tiravo. Invece ci si abitua, sia alla sporcizia che al lavoro manuale.
Ho sempre pensato di avere poca manualità, anzi diciamo la verità: sono abbastanza negata in tutto quello che si può considerare fisico, diciamoci la verità. E all’inizio è stata molto più dura del previsto: ma con il tempo posso dire di aver raggiunto il piccolo obbiettivo, di essere riuscita a imparare un nuovo lavoro difficile per me, e finalmente posso dire di saper fare qualcosa con le mani, e ne sono orgogliosa.

Ho imparato ad aver meno paura d’insetti e di animali esotici. È difficile da credere ma agli insetti ti abitui dopo un po’, ai serpenti un po’ meno, ma dopo un paio di volte che li hai visti, anche loro diventano sempre meno una novità.

Ho imparato il valore del lavoro, che deve essere retribuito più che giustamente: qui in Australia il salario minimo è di 18 dollari l’ora, e il lavoro in farm viene pagato qualche dollaro di più. Una cosa che ci stiamo scordando nel nostro paese, ma qui in questa terra lontana ho capito meglio il concetto: se si lavora duramente bisogna essere pagati giustamente, e non si può e non si deve accontentarsi del minimo sindacale.

Ho imparato, infine, a resistere. Ho odiato questo lavoro dal primo giorno in farm, ma essendo una cosa che ero “obbligata” a fare ho dovuto tener duro, anche più del previsto. E alla fine in qualche modo gli ottantotto giorni sono passati, ci servivano più soldi e siamo rimasti per un altro lungo mese. Ma alla fine è finita: posso dire a me stessa c’è l’ho fatta.

«Se sopravvivi alle banane puoi fare tutto nella vita» mi ha detto Pam, una delle persone più meravigliose che abbia mai conosciuto nonché la mia team leader, il mio secondo giorno di lavoro.
Io, lì per lì,  ero un po’ sconvolta dalla cosa; ho cercato di non lasciarmi abbattere, mi sono impeganta, mi sono sforzata, ho fatto qualche piccolo sacrificio, e ci sono riuscita, sono salva e libera ora, senza togliere le difficoltà che non sono mancate neppure negli ultimi giorni (che sono stati molto più duri del previsto e mi hanno visto discutere con uno dei miei responsabili).

Sono arrivata alla fine degli 88 giorni, sono sopravvissuta e sono molto soddisfatta di me stessa. Ora credo davvero di poter far tutto nella mia vita.

Grazie per avermi seguito anche in questi mesi lunghi di lamentele e noia, e con piacere vi annuncio che ora inizia l’avventura vera; di questo, però, ne parleremo meglio la prossima settimana, quando sarò in partenza per Bali ❤️.

Giorgia

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