Diario letterario di un’italiana in Australia: dove eravamo rimasti?
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Sono passati cinque mesi dall’ultima volta che ho scritto un diario della mia vista australiana. Da quando sono in questo paese non era mai passato tanto tempo senza scrivere qualcosa di questa esperienza che sto affrontando; è nato come un appuntamento settimanale, poi a Perth ho iniziato a rallentare per farla diventare gradualmente una testimonianza mensile l’anno scorso. Ora sono passati cinque mesi. Perché chiederete voi?
Dove eravamo rimasti mi chiedo io invece. Ah sì, il visto.
Ora vi racconto tutto.
Sono sparita per tanto tempo perché il 28 agosto scorso ho fatto richiesta per il terzo visto per rimanere qui. Non potendo accedere a un working holiday tradizionale, visto che sono fuori dall’età massima per le richieste per gli italiani, ho dovuto richiedere un visto speciale, creato apposta per il Covid.
Tornare in Italia a settembre scorso non è mi sembrata una buona idea, lungimirante direi ora, visto la situazione economica e l’ancora impellente minaccia della pandemia e lockdown.
Non che fossi entusiasta di rimanere qui: dopo due anni lontana da casa chiunque avrebbe un cedimento, aggiungiamo anche che ho consapevolezza da un po’ del fatto che non voglio passare il resto della vita qui, dunque lascio trarre a voi le conclusione.
Ma ognuno deve scendere a compromessi con se stesso a volte e il mio è stato tentare di stare qui ancora un po’. Ho un lavoro relativamente stabile che so già non sarà quello della vita – non conosco nessuno di cui il sogno della vita sia lavorare con le aragoste – ma mi fa guadagnare bene.
Il rimpatriare qualche mese fa mi avrebbe fatto scontrare con la realtà dei fatti: la crisi economica in Italia, le restrizioni anche in quel campo.
Dunque, dopo aver soppesato le varie alternative, ci ho provato a rimanere ancora un po’ in questo paese. E ho aspettato. Ho aspettato e aspettato. Aspettato ancora.
Non vi nego che ho vissuto mesi abbastanza angosciati, controllando le mail più volte all’ora, in attesa di un sì o di un no. Mi sono preparata, l’ho visto accadere a un’amica: non sempre ti dicono sì, a volte ti dicono: devi lasciare il paese entro 14 giorni.
Quei 14 giorni sono stati nella mia testa in continuazione, un’ipotesi martellante e invadente, l’idea di chiudere la propria vita degli scorsi due anni nel vecchio zaino amico, spedire i libri e le cose più pensanti in un pacco e cercare un modo di rimpatriare, sperando di trovare un volo.
È stato brutto non avere un futuro per cinque mesi, aspettare la decisione di un altro per tornare a organizzare la tua vita e prendere decisioni, non avere controllo su niente, nemmeno sul fatto di ordinare qualcosa che può metterci più di un mese a arrivare su internet. Ci sono problemi più grandi al mondo, lo so che nel mio sono una privilegiata, ma resta il fatto che per me è stato un periodo asfissiante.
In questi cinque mesi sono accadute poche cose: la più bella una vacanza nel sud della Tasmania io e Fede da soli, a mangiare patatine fritte ogni giorno e vedere posti meravigliosi. Ma in generale sono stati abbastanza simili a sempre: lavoro casa, libri, casa lavoro. Nulla di speciale, a Bicheno, sapete, non c’è chissà questa grande movida.
Tornando alle mie attese ad un certo punto, dopo molto tempo, è accaduto qualcosa: il 10 dicembre scorso una mail, che a prima vista sembra inviata dal classico indirizzo che ti manda mail per aiutare un principe nigeriano. Questa mail arriva però da tale Donna dell’ufficio immigrazione di Brisbane, e mi chiede d’integrare la mia documentazione.
E con la classica tranquillità che mi contraddistingue è stato subito panico: oddio mi hanno risposto.
Donna chiede un nuovo documento da aggiungere alla pila già inviata, un certificato della polizia federale del fatto che io non abbia commesso crimini. E facciamolo subito questo certificato: più veloce di una gazzella, mezz’ora dopo che ho ricevuto la mail ho già chiesto il mio crime record. Con la maschera ancora in faccia (stavo per fare la doccia quando Donna mi ha interrotto) solo dopo aver chiesto tale documento mi informo: ci vuole una settimana di tempo per averlo (bene, ma è quasi Natale, e gli australiani sono notoriamente un po’ lenti) e molte volte anche le multe entrano in questa attestazione.
Merda, ho preso una multa un anno fa per eccesso di velocità. Panico. Paura. Tachicardia.
«Bene fede passiamo Natale a casa». Queste le mie equilibrate reazioni, seguite da un down emozionale e molteplici ricerche su Google che è utile, ma dovrebbero fare una legge e impedire che le persone eccessivamente ansiose facciano ricerche nei momenti sbagliati.
Dopo questa colorata scenetta che ci ho riportato quasi fedelmente è tornata l’ansia, e questa volta non controllavo più la mail ma la cassetta della posta. Pensavo: si può vivere perennemente in attesa?
Passa Natale, e la lettera fa capolino l’ultimo dell’anno, assieme a una inaspettata bambola di Elsa di Frozen munita di cavallo in regalo dalla mia amica Betta. É stato involontariamente simbolico per me: chiudere un anno d’incertezze e attese e angosce come il 2020 con una delle risposte che attendevo.
La mia fedina penale australiana era pulita, era andato tutto bene. Ora bisognava solo inviarla a donna e al 99 per cento avrei ricevuto il mio visto. Perché sì dai, se ti chiedono un’integrazione è perché il visto te lo vogliono dare, giusto?
Sette giorni dopo mentre ero in una delle mie pause al lavoro ho ricevuto la risposta: ti abbiamo dato il visto, puoi stare qui fino alla data tal dei tali. Tremavo. Ormai non ci speravo più, controllavo la mail meccanicamente per abitudine ormai, e mi aspettavo di aspettare ancora un altro paio di mesi.
E invece no, mi hanno dato il visto: è stata una liberazione, ho lanciato la tensione accumulata negli scorsi mesi e finalmente respirato a pieni polmoni.
Cosa succede ora? Quanto tempo rimarrò in Australia?
Fare piani in tempo di corona virus è difficile, lo sapete meglio di me. Per il momento continuerò a lavorare nella mia azienda, perché il mio visto è legato a loro e non posso lavorare altrove, e alla scadenza di questo visto, tra qualche mese, a meno che non succeda una catastrofe, dovrei tornare in Italia. Spero che la situazione sia più stabile, che la campagna vaccinazioni vada bene in modo tale che al mio ritorno o qualche tempo dopo possa anche io vaccinarmi.
Questi mesi sono stati duri però ancora una volta la vita in questo paese mi ha dato degli insegnamenti preziosi: non tutto è sotto il nostro completo controllo, lo devo accettare e farmene una ragione, perché oltre a ciò non si può fare nulla. Credetemi, non è una cosa da poco per me.
Nei prossimi mesi, visto che la mia permanenza quaggiù dovrebbe essere ancora limitata, vorrei continuare a raccontarvi della mia vita in Australia attraverso questo diario, magari in modi nuovi e in forme nuove, ma prometto di riportare in vita questa rubrica spero non per molto tempo.
Ora vi mando un abbraccio e vi do appuntamento al prossimo mese con un nuovo diario letterario di un’italiana in Australia.
Quindi, a presto!
I capitoli precedenti li trovate in questa pagina.
Giorgia
Founder di Book-tique.
Nata nel varesotto alla fine dei gloriosi anni ’80, adottata da Trieste in giovane età e infine emigrata per qualche anno in Australia, e rimpatriata.
Nella vita ho fatto un po’ di tutto, ma le due costanti sono state l’amore per i libri e la passione per la scrittura. Per questo ho deciso di aprire questo blog e parlare con frequenza di libri e di quel che ruota attorno a loro.
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